Amici bambini, insegnanti, genitori,
qui è Ivan Sirtori che vi parla, psicologo, papà di Gregor e Rebecca,
rispettivamente di 7 e 6 anni. Mi avete chiesto di condividere alcune idee
intorno al tema dei compiti ed ecco quanto ho da dirvi, in basa alla mia
esperienza e alla mia sensibilità.
I compiti a casa sono uno strumento
che serve per facilitare l'apprendimento scolastico.
Non sono una necessità (esistono
esperienze ben funzionanti di scuole senza compiti), un obbligo (vivere i
compiti come una costrizione li rende nemici dell'apprendimento), uno strumento
di “punizione” e nemmeno un modo per compensare quello che i tempi stretti
della scuola non riescono ad affrontare.
I compiti sono un'occasione per
tenere in esercizio alcune abilità (nel leggere, nello scrivere, nel “far di
conto” o nell'applicare un metodo allo studio).
Tenere conto di queste semplici
premesse può aiutare gli adulti a considerare nella giusta dimensione i compiti
e dargli il valore che hanno, come strumento anziché come fine. Altrimenti si
rischia di forgiare dei bambini che agiscono meccanicamente, mortificando la
propria intelligenza e il proprio spirito d'iniziativa, eseguendo degli
“ordini” impartiti dagli adulti, senza capirne il senso. Oppure, al contrario,
bambini oppositivi (spesso quelli più brillanti, più originali e meno passivi)
che rimangono incastrati in una logica oppositiva, rifiutando le imposizioni
adulte perché non ne comprendono il senso e le percepiscono come troppo
frustranti ed esagerate.
La capacità di usare i compiti come
strumenti, dosandoli (nei tempi e nei modi), spetta anzitutto all'insegnante.
E' lui che conosce il programma, i bambini della sua classe e il proprio stile
di insegnamento. L'insegnante può così decidere dell'uso dei compiti, tenendo
anche conto dell'età dei bambini , a partire da quelli che considero dei
principi base ai quali ispirarsi:
-
i
bambini devono anzitutto capire il senso che hanno i compiti per la loro vita
quotidiana scolastica. L'insegnante dovrebbe condividerlo con i bambini,
motivando le sue richieste. Questo ovviamente chiede all'insegnante di essere
profondamente consapevole delle proprie scelte. Un insegnante DEVE sempre
essere in grado di motivarle;
-
non
si possono dare più compiti di quelli che l'insegnante può correggere nei
giusti tempi (senza caricarsi di stress) e con la giusta cura (senza fretta,
superficialità o “meccanicità”);
-
non
si possono dare più compiti di quelli che i bambini possono gestire in
autonomia, senza necessità di un supporto genitoriale. I compiti sono
un'occasione per accrescere la propria indipendenza, non un modo per creare
stress ulteriore nel sistema familiare (già messo molto alla prova dallo stile
di vita contemporaneo) e nemmeno dipendenza nei confronti della mamma o del papà,
senza i quali non si riescono a svolgere (perché troppi, troppo difficili o
nuovi rispetto a quanto svolto in classe). La presenza del genitore non
dovrebbe mai essere necessaria al bambino per comprendere e svolgere i compiti,
è semmai (nei primi anni delle elementari) solo un supporto affettivo, una
presenza amorevole e motivante, uno stimolo per mantenere focalizzata
l'attenzione su quello che si sta facendo;
-
i
bambini, per crescere armonicamente, hanno bisogno di sviluppare corpo, cuore
e testa insieme; capacità fisiche (equilibrio, forza,
autocontrollo, scioltezza, consapevolezza corporea, espressività), capacità
emotive (gestione delle emozioni cosiddette “negative”, come la rabbia, il
dolore, la paura, la frustrazione; sviluppo di relazioni interpersonali
significative; esperienza delle emozioni positive come la gioia, lo stupore, la
curiosità, il desiderio, l'entusiasmo, ecc.) e capacità mentali
(linguaggio, pensiero, ragionamento, memoria, intuizione, ecc.). Quando
pensiamo alla giornata di un bambino, dovremmo
considerare sempre l'equilibrio tra questi 3 aspetti costitutivi
dell'essere umano. Il modo migliore per un bambino di mettere in gioco tutte
queste competenze insieme e con equilibrio è il GIOCO LIBERO. Grandiose sono le
potenzialità espressive e autocurative del gioco non strutturato e su queste ci
si potrebbe dilungare a lungo. Se un bambino che passa la sua giornata a
scuola, fino a metà pomeriggio (che d'inverno significa concretamente la quasi
totalità delle ore di luce), è costretto a continuare a casa il suo “lavoro” -
impegnando ancora e soprattuto la MENTE, anziché poter correre, giocare,
inventare, stare vicino ai genitori, esprimersi liberamente – non potrà che
vivere questa esperienza come stressante, eccessiva, sbagliata, negativa e ne
avrà tutte le ragioni, quando i grandi lo capiranno. In tal caso ha più senso
organizzarsi per avere il tempo di svolgere i compiti a scuola anziché a
casa.
I bambini a scuola, a parte alcune
competenze di base essenziali (quelle classiche: leggere, scrivere e far di
conto), dovrebbero anzitutto imparare ad imparare, perché questo è ciò
che la vita sulla terra richiede. Non persone ben addestrate che hanno in testa
vecchie nozioni immutabili apprese a memoria e senza riflessione personale,
bensì individui curiosi, interessati, attivi, flessibili, capaci di affrontare
le novità, di ricercare informazioni attraverso molteplici canali, di
comprendere quello che succede nella realtà quotidiana della propria famiglia e
del proprio contesto sociale allargato, di usare strategie mentali, metodi e
tecniche per apprendere cose nuove in base alle esigenze della loro vita.
Se tenessimo conto di questo daremmo
meno importanza ad inseguire i contenuti e le tappe del programma e
interpreteremmo più creativamente gli stessi focalizzando l'attenzione :
- sul lavoro
di sperimentazione di metodi di studio, di memorizzazione, di libera
ricerca di informazioni attraverso la biblioteca, internet, il confronto
orale con persone adulte del proprio contesto;
- sul
confronto tra pari in classe, e la collaborazione tra gruppi;
- sull'usare
la classe in modi diversi e creativi ridefinendone gli spazi a seconda del
tipo di attività che si svolge;
- sulle
attività di ascolto e di lettura espressiva; sulle attività artistiche e
motorie.
E ripenseremmo anche i compiti che, a
seconda dell'età dei bambini, della sensibilità e della creatività
dell'insegnante possono essere dati o non dati; dati ogni tanto; dati quando
serve; dati in dose omeopatica; dati solo nel week-end; e anche ripensati: ad
esempio, osservare attentamente come gli adulti usano le competenze che i bimbi
stanno imparando (ad esempio leggere, scrivere o far di conto) è un bel compito
e io credo che molti possano essere i compiti non scritti, ma solo osservativi,
contemplativi. Allenerebbero il bambino a creare connessioni tra ciò che
imparano e l'uso di questo nel “mondo adulto”, nella realtà che li circonda.
Vi lancio due stimoli che possono
essere molto fertili: il testo CARO INSEGNANTE, dell'amico Paolo Mottana, docente
in Bicocca di filosofia della pedagogia e il sito dell'esperienza emiliana
della Scuola senza Zaino il cui responsabile è il prof. Marco Orsi
(www.senzazaino.it).
Grazie del vostro “ascolto”.
Con affetto.
Ivan (Sirtori)
BREVE APPENDICE, al di là del
discorso sui compiti
I bambini oggi stanno soffrendo di
alcuni mali sociali che gravano anche sul mondo degli adulti e che si
riflettono pericolosamente su quello dei piccoli. Ecco solo alcuni elementi di
questo malessere, espressi in modo semplice ed essenziale:
-
le
giornate sono sempre più all'insegna dello stress, con tempi sempre più stretti
per fare le cose, frettolosità, ed eccessiva organizzazione dei tempi (spesso
oggi i bambini hanno un'agenda serrata di cose da fare ogni giorno e magari
anche nei week-end, proprio come i grandi).
-
L'eccessiva
presenza della virtualità (TV, videogiochi, computer) non gestita o gestita con
superficialità e scarsa consapevolezza dagli adulti genera un eccesso di
stimolazione nel bambino favorendo difficoltà nell'uso dell'attenzione
(iperstimolata e continuamente “distratta”)
-
le
relazioni con gli adulti sono spesso superficiali, centrate sul FARE
(esperienze, da vivere e consumare in fretta, anziché da gustare piano piano) o
sull'AVERE (le cure sono fortemente sbilanciate verso la materialità, il cibo,
spesso non curato ed eccessivo, i vestiti, gli oggetti, i giochi), mentre ciò
che nutre veramente un bambino è l'ESSERE, l'esperienza di stare con un adulto
che si impegna a vivere con attenzione, sensibilità, ascolto, esprimendo con
equilibrio le proprie emozioni, sapendo parlare con serietà delle cose
importanti e ridere con spensieratezza delle situazioni divertenti, che riesca
ad esprimere calore, affetto, cura e insieme dare al bambino regole precise,
semplici e chiare, e capaci di cambiare al crescere del bambino.
Qualche antidoto:
-
avere
ogni giorno (e in modo speciale e più ampio nei week-end) momenti di gioco
libero, di attività non organizzata dove fare quel che l'anima chiede, non quel
che si deve (per necessità pratica, imposizione scolastica, ecc.);
-
non
usare la TV come riempitivo, sottofondo, baby sitter o compagna dei momenti
liberi. La TV è uno strumento, come i videogiochi ed il computer e va
regolamentato, proprio perché è così potente (nel bene e nel male). Anche su
questo mi piacerebbe dilungarmi, magari in una prossima occasione. A casa mia
ad esempio, con i miei bimbi di 7 e 6 anni, la TV si accende solo nei week-end,
per vedere un film scelto da loro e condiviso da mamma e papà. Basta. Non serve
di più. Qualche piccolo video divertente creativo, interessante o qualche breve
documentario ogni tanto, visto per dieci-venti minuti insieme al computer è
tutto quanto i miei bimbi sperimentano. La virtualità se supera certi limiti
toglie motivazione nel bambino, genera confusione mentale, irrequietezza
fisica, e attiva difese nevrotiche da una realtà giustamente vissuta come
iperstimolante (e vedere la TV o giocare ai videogiochi per ore ogni giorno è
scandaloso e inquietante, se sapessimo davvero il MALE che stiamo facendo
indirettamente ai nostri figli);
-
ricavare
tempi e spazi per attività “a misura d'uomo”: leggere una storia ad alta voce,
passeggiare, andare in bicicletta, cucinare, esplorare luoghi sconosciuti, ecc.
Attività che mettono in modo corpo, emozioni e intelligenza insieme, che si
svolgono coi ritmi umani del passo, del respiro, del battito del cuore e che ci
mantengano sensibili e presenti alle emozioni che viviamo nel momento;
-
passare
più tempo a contatto col mondo naturale (boschi, montagne, ruscelli, fiumi,
laghi, animali, fiori, frutti, orti, ecc.) ha in sé un potere rigenerante ed
equilibrante, capace di riportarci a ritmi di vita naturalmente più sani.
Ivan Sirtori, nato nel 1974, vive a Sirone con Lara Elli, Gregor e
Rebecca.
E’ psicologo e ha una formazione triennale in musicoterapia, approccio
relazionale presso la scuola di Artiterapie di Lecco, e un master biennale in Costellazioni
Familiari, presso l’Istituto Bert Hellinger di San Marino.
Si occupa di formazione sia in ambito aziendale sia nel privato
sociale su tematiche psicologiche (promozione del benessere/gestione dello
stress, ascolto/autoascolto, consapevolezza, pedagogia della morte).
Svolge privatamente attività di counseling psicologico.
Utilizza strumenti di meditazione, rilassamento e
autoconsapevolezza, attinti da diverse tradizioni, nelle sue proposte formative
e di counseling.
Approfondisce, dal 1997, la sua esperienza di leggistorie
presso scuole materne, elementari, medie e biblioteche, con attività educative e
formative rivolte a bambini, ragazzi e adulti.
Ama l’arte e particolarmente la musica e la poesia. Come poeta e
lettore, collabora con alcuni artisti a progetti di dialogo fra le differenti
arti.
Ha contribuito a costituire,
nel 2003, la società Torreluna e, nel 2004, l’associazione culturale Gli
Abitanti di Torreluna (www.torreluna.com). Ha co-fondato nel 2006, con
la moglie Lara e l’artista Davide Maauri, Robindart Factory, gruppo di Arte
Sociale (www.robindart.it). L’orientamento del suo
lavoro si colloca nel continuum arte per
la trasformazione sociale responsabile vs arte della trasformazione personale.
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