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lunedì 1 ottobre 2012

I compiti a casa


 


Amici bambini, insegnanti, genitori, qui è Ivan Sirtori che vi parla, psicologo, papà di Gregor e Rebecca, rispettivamente di 7 e 6 anni. Mi avete chiesto di condividere alcune idee intorno al tema dei compiti ed ecco quanto ho da dirvi, in basa alla mia esperienza e alla mia sensibilità.

I compiti a casa sono uno strumento che serve per facilitare l'apprendimento scolastico.
Non sono una necessità (esistono esperienze ben funzionanti di scuole senza compiti), un obbligo (vivere i compiti come una costrizione li rende nemici dell'apprendimento), uno strumento di “punizione” e nemmeno un modo per compensare quello che i tempi stretti della scuola non riescono ad affrontare.
I compiti sono un'occasione per tenere in esercizio alcune abilità (nel leggere, nello scrivere, nel “far di conto” o nell'applicare un metodo allo studio).

Tenere conto di queste semplici premesse può aiutare gli adulti a considerare nella giusta dimensione i compiti e dargli il valore che hanno, come strumento anziché come fine. Altrimenti si rischia di forgiare dei bambini che agiscono meccanicamente, mortificando la propria intelligenza e il proprio spirito d'iniziativa, eseguendo degli “ordini” impartiti dagli adulti, senza capirne il senso. Oppure, al contrario, bambini oppositivi (spesso quelli più brillanti, più originali e meno passivi) che rimangono incastrati in una logica oppositiva, rifiutando le imposizioni adulte perché non ne comprendono il senso e le percepiscono come troppo frustranti ed esagerate.
La capacità di usare i compiti come strumenti, dosandoli (nei tempi e nei modi), spetta anzitutto all'insegnante. E' lui che conosce il programma, i bambini della sua classe e il proprio stile di insegnamento. L'insegnante può così decidere dell'uso dei compiti, tenendo anche conto dell'età dei bambini , a partire da quelli che considero dei principi base ai quali ispirarsi:

-        i bambini devono anzitutto capire il senso che hanno i compiti per la loro vita quotidiana scolastica. L'insegnante dovrebbe condividerlo con i bambini, motivando le sue richieste. Questo ovviamente chiede all'insegnante di essere profondamente consapevole delle proprie scelte. Un insegnante DEVE sempre essere in grado di motivarle; 
-        non si possono dare più compiti di quelli che l'insegnante può correggere nei giusti tempi (senza caricarsi di stress) e con la giusta cura (senza fretta, superficialità o “meccanicità”);
-        non si possono dare più compiti di quelli che i bambini possono gestire in autonomia, senza necessità di un supporto genitoriale. I compiti sono un'occasione per accrescere la propria indipendenza, non un modo per creare stress ulteriore nel sistema familiare (già messo molto alla prova dallo stile di vita contemporaneo) e nemmeno dipendenza nei confronti della mamma o del papà, senza i quali non si riescono a svolgere (perché troppi, troppo difficili o nuovi rispetto a quanto svolto in classe). La presenza del genitore non dovrebbe mai essere necessaria al bambino per comprendere e svolgere i compiti, è semmai (nei primi anni delle elementari) solo un supporto affettivo, una presenza amorevole e motivante, uno stimolo per mantenere focalizzata l'attenzione su quello che si sta facendo;
-        i bambini, per crescere armonicamente, hanno bisogno di sviluppare corpo, cuore e testa insieme; capacità fisiche (equilibrio, forza, autocontrollo, scioltezza, consapevolezza corporea, espressività), capacità emotive (gestione delle emozioni cosiddette “negative”, come la rabbia, il dolore, la paura, la frustrazione; sviluppo di relazioni interpersonali significative; esperienza delle emozioni positive come la gioia, lo stupore, la curiosità, il desiderio, l'entusiasmo, ecc.) e capacità mentali (linguaggio, pensiero, ragionamento, memoria, intuizione, ecc.). Quando pensiamo alla giornata di un bambino, dovremmo  considerare sempre l'equilibrio tra questi 3 aspetti costitutivi dell'essere umano. Il modo migliore per un bambino di mettere in gioco tutte queste competenze insieme e con equilibrio è il GIOCO LIBERO. Grandiose sono le potenzialità espressive e autocurative del gioco non strutturato e su queste ci si potrebbe dilungare a lungo. Se un bambino che passa la sua giornata a scuola, fino a metà pomeriggio (che d'inverno significa concretamente la quasi totalità delle ore di luce), è costretto a continuare a casa il suo “lavoro” - impegnando ancora e soprattuto la MENTE, anziché poter correre, giocare, inventare, stare vicino ai genitori, esprimersi liberamente – non potrà che vivere questa esperienza come stressante, eccessiva, sbagliata, negativa e ne avrà tutte le ragioni, quando i grandi lo capiranno. In tal caso ha più senso organizzarsi per avere il tempo di svolgere i compiti a scuola anziché a casa.

I bambini a scuola, a parte alcune competenze di base essenziali (quelle classiche: leggere, scrivere e far di conto), dovrebbero anzitutto imparare ad imparare, perché questo è ciò che la vita sulla terra richiede. Non persone ben addestrate che hanno in testa vecchie nozioni immutabili apprese a memoria e senza riflessione personale, bensì individui curiosi, interessati, attivi, flessibili, capaci di affrontare le novità, di ricercare informazioni attraverso molteplici canali, di comprendere quello che succede nella realtà quotidiana della propria famiglia e del proprio contesto sociale allargato, di usare strategie mentali, metodi e tecniche per apprendere cose nuove in base alle esigenze della loro vita.

Se tenessimo conto di questo daremmo meno importanza ad inseguire i contenuti e le tappe del programma e interpreteremmo più creativamente gli stessi focalizzando l'attenzione :
  • sul lavoro di sperimentazione di metodi di studio, di memorizzazione, di libera ricerca di informazioni attraverso la biblioteca, internet, il confronto orale con persone adulte del proprio contesto;
  • sul confronto tra pari in classe, e la collaborazione tra gruppi;
  • sull'usare la classe in modi diversi e creativi ridefinendone gli spazi a seconda del tipo di attività che si svolge;
  • sulle attività di ascolto e di lettura espressiva; sulle attività artistiche e motorie.

E ripenseremmo anche i compiti che, a seconda dell'età dei bambini, della sensibilità e della creatività dell'insegnante possono essere dati o non dati; dati ogni tanto; dati quando serve; dati in dose omeopatica; dati solo nel week-end; e anche ripensati: ad esempio, osservare attentamente come gli adulti usano le competenze che i bimbi stanno imparando (ad esempio leggere, scrivere o far di conto) è un bel compito e io credo che molti possano essere i compiti non scritti, ma solo osservativi, contemplativi. Allenerebbero il bambino a creare connessioni tra ciò che imparano e l'uso di questo nel “mondo adulto”, nella realtà che li circonda.

Vi lancio due stimoli che possono essere molto fertili: il testo CARO INSEGNANTE, dell'amico Paolo Mottana, docente in Bicocca di filosofia della pedagogia e il sito dell'esperienza emiliana della Scuola senza Zaino il cui responsabile è il prof. Marco Orsi (www.senzazaino.it).

Grazie del vostro “ascolto”.

Con affetto.

Ivan (Sirtori)

BREVE APPENDICE, al di là del discorso sui compiti

I bambini oggi stanno soffrendo di alcuni mali sociali che gravano anche sul mondo degli adulti e che si riflettono pericolosamente su quello dei piccoli. Ecco solo alcuni elementi di questo malessere, espressi in modo semplice ed essenziale:
-        le giornate sono sempre più all'insegna dello stress, con tempi sempre più stretti per fare le cose, frettolosità, ed eccessiva organizzazione dei tempi (spesso oggi i bambini hanno un'agenda serrata di cose da fare ogni giorno e magari anche nei week-end, proprio come i grandi).
-        L'eccessiva presenza della virtualità (TV, videogiochi, computer) non gestita o gestita con superficialità e scarsa consapevolezza dagli adulti genera un eccesso di stimolazione nel bambino favorendo difficoltà nell'uso dell'attenzione (iperstimolata e continuamente “distratta”)
-        le relazioni con gli adulti sono spesso superficiali, centrate sul FARE (esperienze, da vivere e consumare in fretta, anziché da gustare piano piano) o sull'AVERE (le cure sono fortemente sbilanciate verso la materialità, il cibo, spesso non curato ed eccessivo, i vestiti, gli oggetti, i giochi), mentre ciò che nutre veramente un bambino è l'ESSERE, l'esperienza di stare con un adulto che si impegna a vivere con attenzione, sensibilità, ascolto, esprimendo con equilibrio le proprie emozioni, sapendo parlare con serietà delle cose importanti e ridere con spensieratezza delle situazioni divertenti, che riesca ad esprimere calore, affetto, cura e insieme dare al bambino regole precise, semplici e chiare, e capaci di cambiare al crescere del bambino. 

Qualche antidoto:
-        avere ogni giorno (e in modo speciale e più ampio nei week-end) momenti di gioco libero, di attività non organizzata dove fare quel che l'anima chiede, non quel che si deve (per necessità pratica, imposizione scolastica, ecc.);
-        non usare la TV come riempitivo, sottofondo, baby sitter o compagna dei momenti liberi. La TV è uno strumento, come i videogiochi ed il computer e va regolamentato, proprio perché è così potente (nel bene e nel male). Anche su questo mi piacerebbe dilungarmi, magari in una prossima occasione. A casa mia ad esempio, con i miei bimbi di 7 e 6 anni, la TV si accende solo nei week-end, per vedere un film scelto da loro e condiviso da mamma e papà. Basta. Non serve di più. Qualche piccolo video divertente creativo, interessante o qualche breve documentario ogni tanto, visto per dieci-venti minuti insieme al computer è tutto quanto i miei bimbi sperimentano. La virtualità se supera certi limiti toglie motivazione nel bambino, genera confusione mentale, irrequietezza fisica, e attiva difese nevrotiche da una realtà giustamente vissuta come iperstimolante (e vedere la TV o giocare ai videogiochi per ore ogni giorno è scandaloso e inquietante, se sapessimo davvero il MALE che stiamo facendo indirettamente ai nostri figli);
-        ricavare tempi e spazi per attività “a misura d'uomo”: leggere una storia ad alta voce, passeggiare, andare in bicicletta, cucinare, esplorare luoghi sconosciuti, ecc. Attività che mettono in modo corpo, emozioni e intelligenza insieme, che si svolgono coi ritmi umani del passo, del respiro, del battito del cuore e che ci mantengano sensibili e presenti alle emozioni che viviamo nel momento;
-        passare più tempo a contatto col mondo naturale (boschi, montagne, ruscelli, fiumi, laghi, animali, fiori, frutti, orti, ecc.) ha in sé un potere rigenerante ed equilibrante, capace di riportarci a ritmi di vita naturalmente più sani.


Ivan  Sirtori, nato nel 1974, vive a Sirone con Lara Elli, Gregor e Rebecca.
E’ psicologo e ha una formazione triennale  in musicoterapia, approccio relazionale presso la scuola di Artiterapie di Lecco, e un master biennale in Costellazioni Familiari, presso l’Istituto Bert Hellinger di San Marino.
Si occupa di formazione sia in ambito aziendale sia nel privato sociale su tematiche psicologiche (promozione del benessere/gestione dello stress, ascolto/autoascolto, consapevolezza, pedagogia della morte).
Svolge privatamente attività di counseling psicologico.
Utilizza strumenti di meditazione, rilassamento e autoconsapevolezza, attinti da diverse tradizioni, nelle sue proposte formative e di counseling.
Approfondisce, dal 1997, la sua esperienza di leggistorie presso scuole materne, elementari, medie e biblioteche, con attività educative e formative rivolte a bambini, ragazzi e adulti.
Ama l’arte e particolarmente la musica e la poesia. Come poeta e lettore, collabora con alcuni artisti a progetti di dialogo fra le differenti arti.
Ha contribuito a costituire, nel 2003, la società Torreluna e, nel 2004, l’associazione culturale Gli Abitanti di Torreluna (www.torreluna.com). Ha co-fondato nel 2006, con la moglie Lara e l’artista Davide Maauri, Robindart Factory, gruppo di Arte Sociale (www.robindart.it). L’orientamento del suo lavoro si colloca nel continuum arte per la trasformazione sociale responsabile vs arte della trasformazione personale.



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